
E LA CHIAMANO ESTATE di Bruno Martino
Bruno Martino amava scrivere le musiche ispirandosi a testi già scritti. Questo del suo grande classico “E la chiamano estate” fu scritto da Laura Zanin e da un Franco Califano ancora sconosciuto. Si narra che il testo fosse stato addirittura cestinato dalla casa editrice ma che lo stesso pianista e cantante lo riscoprì e lo scelse. La canzone narra la malinconia di un amore finito ma soprattutto la discrasia tra la bellezza dell’estate e la sofferenza per questa lontananza, per il vuoto lasciato. Un binomio antico : Estate e vuoto, appunto come la vacanza. Il testo è malinconico ma per niente triste, ma dolce. La lontananza e la solitudine sono in un certo modo accettate.
“ E la chiamano estate. Questa estate senza te.
Ma non sanno che vivo, ricordando sempre te.
Il profumo del mare, non lo sento, non c’è piu’.
Perché non torni qui, Vicina a me.
E le chiamano notti, queste notti senza te.
Ma non sanno che esiste chi di notte piange te.
Ma gli altri vivono, parlano, amano.”
Questo brano per certi versi racconta un’ epoca. C’è una rappresentazione del momento storico con “gli altri vivono, parlano, amano”.
Il titolo “E la chiamano estate” prefigge una collettività che appunto la chiama così, che la vive felice. Si intravedono i luoghi di balneazione invasi dalle famiglie che da un decennio avevano iniziato a superare la disperazione e la povertà del dopoguerra. La spiaggia è un labirinto lucente e festoso in cui nasconde la propria malinconia. I testi delle canzoni dell’epoca erano alieni ad ogni forma di ossessività o di violenza.
La canzone canta gli anni ’60, che furono il palcoscenico di un benessere che si stava diffondendo, con nuove forme di libertà espresse in gioia di vivere. Il testo richiama quella felicità, l’ottimismo diffuso presente anche nei film, nei balli e persino nelle musiche dell’epoca. Seguiranno poi le battaglie del 68 e quelle ancor più feroci degli anni 70.
Erano gli anni dell’affermazione del Design, uno stile estetico rinnovato. Si potrebbe dire il più equilibrato nelle forme e nei colori rispetto ad ogni epoca.
Si era persa ogni forma di decadentismo di inizio secolo, non era sgargiante ed aggressivo come sarà quello degli anni ’70. Con l’invenzione tutta italiana del Moplen che rivoluzionò con i suoi colori e le sue forme nuove ed addolcite il vivere quotidiano.
Nel suo equilibrio estetico si intravede anche una nota di fascino e sublimazione e quindi una latente nobile malinconia.
La musica del brano è allora dolce, viva, lucente, rilassante, magica, corale ed è anche armonicamente complessa. Cantare il brano infatti non è facile come sembra, ma Bruno Martino era un pianista jazz di successo e pur risentendo delle musiche provenienti dai grandi crooner USA, riesce a trovare una melodia dall’ascolto immediato, dandole un sapore italiano.

L’estate è forse la stagione migliore per rappresentare gli anni ’60, così magistralmente mostrati nello splendido film “Il Sorpasso” che lo precedette di qualche anno. Vittorio Gassmann insieme a tutti i personaggi del film rappresenta i gaudenti che vivono la nuova era, che non mostra ancora limiti, mentre Trintignant esprime il lato malinconico, di chi poco si sente adattato al nuovo clima.
Nell’ euforia gli spiriti più alti possono permettersi un senso dandy di malinconia, una feroce sensazione di limitatezza e disorientamento, di nullo. La malinconia fa capolino nel film, quasi suggerita, come se si ricercasse un’ombra a tanta luce.

Le due anime sono così magicamente rappresentate in questa canzone.
Il testo è semplice e poetico, non ossessivo, cattivo nemmeno, ha un equilibrio tra innocenza, piacere che lo avvolge ed il male dell’anima. Il brano è un inno ad un equilibrio sociale temporaneo, culturale che non è tornato più.
