La Traviata di Verdi, quintessenza della drammaturgia italica. 
Nel celebre “Libiamo”, quasi un manifesto estetico

“Libiam né lieti calici che la bellezza infiora, e la fuggevol ora s’inebri a voluttà. Libiam né dolci fremiti che suscita l’amore, poiché quell’occhio al core onnipotente va.”
Chi non conosce questo celebre motivo, la sua cadenza? Questo walzer lascia, dopo l’ascolto, un ricordo particolare, qualcosa di incompleto. Un equilibrio tra fragore e tristezza.
Muti, il più grande direttore di Verdi, rinnovando e ripulendo l’interpretazione dell’Opera con la massima fedeltà al testo ed alle note, ha definito questo walzer iniziale di festa : un “walzer di morte”. Violetta e’ già malata.
Solo Verdi poteva rappresentare cosi bene l’energia dell’amore che nasce e la finzione della borghesia parigina. La solitudine di Violetta malata tra gli ammiratori festanti. La tristezza e la gioia di un amore che nasce nel posto sbagliato, per la persona sbagliata. Al punto da lasciare la stessa Violetta inizialmente incredula e dire:

“È strano, è strano! In core scolpiti ho quegli accenti!
Sarìa per me sventura un serio amore?
Che risolvi, o turbata anima mia?
Null’uomo ancora t’accendeva:
O gioia ch’io non conobbi,
Essere amata amando!”

Tanti studiosi oggi esaltano la straordinaria melodia, elaborata con passaggi Beethoviani o alla Chopin, talvolta Mozartiani o da Bach, la profondità della musica di Verdi.
In risposta all’antica critica d’oltralpe che definiva la Traviata il “Zum-pa-pa’ “, Muti ha più volte dimostrato

” l’ apparente semplicità nella musica di Verdi che nasconde la complessità”.
Il grande valore della Traviata è in ogni aria, ogni nota, tradita però qualche volta da pessime interpretazioni che la rendevano il “Zum-pa-pa’ “

La Traviata e’ per certi versi la quintessenza dell’italianità, talvolta incompresa, la genialità delle linee della nostra cultura, la sua amabilità, ma che chi avendo il gusto kitsch la vede kitsch e la rende kitsch.
Verdi partì dal romanzo La dama delle Camelie, nato da una storia vera, che prendeva di mira la società della borghesia parigina. Questo mondo aveva “accolto” questa ragazza di 16 anni della Normandia, povera, sola ed analfabeta, come cortigiana. Ma appena l’amore sincero la voleva all’interno di essa da madama la rifiutò per il suo passato. L’ Opera di Verdi per questo attacco fu censurata.
Ma nella Traviata, Verdi non solo riesce in questo scopo, ma va oltre. È più complesso.
A partire dalla figura di Germont, il padre di Alfredo, che ha il compito terribile di chiedere a Violetta di allontanarsi dal figlio per mantenere alto il nome della sua famiglia, ma dopo averlo fatto l’abbraccia come una figlia. Sarà il primo a richiamare il figlio, quando Alfredo preso dall’ira, sentendosi abbandonato la dileggerà pubblicamente. Sarà colui che per ultimo la piangerà sul letto di morte.
Alfredo rappresenta invece la genuinità dell’amore, lo slancio quasi febbrile che va oltre le convenzioni. Pronto a tutto, in modo turbinoso ed inconsapevole. Un atteggiamento che richiama un Romanticismo d’oltralpe.

Ma a Violetta tocca il ruolo più duro, per certi versi verista. Negarsi l’amore, allontanare Alfredo, subire la sua ira, per salvare lui, il matrimonio della sorella, il buon nome della famiglia.
Il carico maggiore della oscurità e della cattiveria della società cadrà sulle sue spalle. Come spesso è accaduto alle donne italiane.
In questa sensibilità tutta italiana in cui nasce la storia di Filomena Marturano scritta da Eduardo.
Questa è la modernità della Traviata.
La grandezza rivoluzionaria di Verdi sta nel fare diventare una cortigiana una donna pura.
La purezza tragica del canto Amami Alfredo.