Massimo Troisi è stato uno straordinario attore, regista, comico e sceneggiatore che in ogni scena, ogni battuta, portava una verità liberatoria, una visione controcorrente, connotata sempre da leggerezza ed ironia. Al punto da poter essere considerato un vero intellettuale.
Nel bellissimo ed intensissimo documentario a lui dedicato “Laggiù qualcuno mi ama”, del regista Mario Martone, ogni minuto è ricco di sfumature, aneddoti, riuscendo a mostrare il lato poetico della figura artistica.
Tra i tanti momenti significativi che prendono spunto dalla sua arte e dalla sua vita c’è quello in cui il regista incontra nel film Anna Pavignano, che fu compagna del grande artista nel periodo iniziale della sua carriera, ma soprattutto coautrice delle sceneggiature di tutti i suoi film, tranne quello girato con Benigni.
In questo incontro lei gli mostra diversi appunti personali e registrazioni audio, tutt’oggi da lei custoditi, e rivela così alcuni episodi della vita personale ed artistica di Troisi.
Tra i tanti ce n’è uno che colpisce ed illumina, che ci permette di comprendere una parte della Poetica artistica del grande autore napoletano.

La Pavignano racconta che Troisi si era prestato a registrare una finta seduta psicanalitica con Anna Pavignano ed una sua amica. Ad un certo punto nella registrazione audio gli chiedono di raccontare un bel ricordo della sua vita.
Lui allora si ricorda di un episodio estivo, quando da adolescente ricevette una cartolina da una ragazza alla fine di una estate, che gli scrisse solamente: ciao “uomo”, uomo tra virgolette.
Il grande attore spiega che questa definizione lo sorprese, non solo perché fu la prima volta che gli era stata rivolta, ma anche perché con questa ragazza non si era comportato in modo “atteggiato”, come lui stesso dice, ma gli era bastato essere solo “normale”.
Questo bel ricordo, questa confessione scherzosa ed intima appare a noi una rivelazione sull’approccio rivoluzionario della Poetica di Troisi.
Mostra la sua delicatezza di essersi sentito “uomo” non secondo il successo, la forza, il denaro o peggio un senso dell’onore che specie negli anni ’70, fuorviavano i comportamenti. Si riconosce tale solo per e verso i sentimenti. Oltretutto nella considerazione di chi custodisce la sua alterità: una donna.

Questo episodio rappresenta l’essenza del senso della sua mascolinità nuova, per l’epoca e moderna tutt’oggi.
La definizione di sé viene acquisita nella dimensione del rapporto, esce dalla dimensione sociale e diventa intima.
Come cambierebbe la nostra società se valorizzassimo di più i sentimenti nella definizione di noi stessi e se gli uomini e le donne si definissero solo rispetto a questi ?
Saremmo finalmente una società in cui questa sensibilità diventerebbe centrale e innovatrice. I valori patriarcali e maschilisti legati al denaro, al potere ed al successo indietreggerebbero.
Una rivoluzione ben superiore al femminismo all’epoca di moda. Perché realizzerebbe maggiormente il femminile, inteso in senso Junghiano, nella società.
Ma l’altra parola chiave che lui aggiunge è la : “normalità”, che vuol dire liberazione.
Troisi dice, felice nella registrazione, che gli è bastato essere “normale”, per essere definito uomo.
Senza atteggiarsi, senza modificarsi, senza acquisire quelle sovrastrutture, che nei suoi film gli appaiono sempre un po’ ridicole.
Questo senso di spontaneità, leggerezza, lo sguardo libero di fronte ad ogni richiesta pressante della società è infatti sempre presente in tutti i suoi film.
Una normalità dolce, che supera ogni aspetto ideologico o trend culturale del momento, ma si basa su una dimensione più umana.
Questo essere uomo definito dai sentimenti all’interno di una “normalità” libera oltre ogni stereotipo è forse la lezione che Troisi intuì e poi ci ha insegnato.