
Quanno Chiove di Pino Daniele, analisi del testo
C’ è un brano di Pino Daniele che descrive una cifra di Napoli poco raccontata. La sua immagine, seppur vera, solare, folkloristica, per certi versi esuberante, ha però un suo contrappeso, una parte intima, silenziosa, poco raccontata, se non in poche poesie, oppure in qualche opera di Eduardo.
Già dal titolo “Quanno Chiove” inizia con una immagine diversa di Napoli. La pioggia, quel momento di pausa, di riflessione, di intimità, di solitudine. Nel brano è intesa come momento interiore di speranza, di cambiamento, la speranza che si colloca nell’intimità. Questa ragazza raccontata nel brano parla allora di Napoli, di un suo aspetto. Nella proiezione immaginaria è una donna. Il brano inizia con la ragazza ride con delle amiche, con questo momento di piacere, di esuberanza, che è resistenza. Già dalle prime frasi si comprende il senso del brano.
“E te sento quanno scinne ‘e scale
‘E corza senza guarda’
E te veco tutt’e juorne
Ca ridenno vaje a fatica’
Ma poi nun ridi cchiù.”
“E luntano se ne va
Tutt’a vita accussì
E t’ astipe pe nun muri’”
La protagonista probabilmente viene da un quartiere difficile e cerca di proteggersi, custodendo la sua sensibilità, la sua dolcezza, dalle difficoltà della vita. In attesa di poterla esprimere in un futuro possibile o atteso, che forse non arriverà. Ma custodirlo comunque le consente di rimanere viva.
Napoli ha avuto nei secoli una parte della popolazione in difficoltà, che ha nascosto dietro la risata, oltre quella esuberanza e gioia di vita, la sofferenza. L’esuberanza come forma di rivalsa che si equilibra nella difesa archetipa della propria sensibilità che non può emergere. Che trova nei propri affetti la sua radice.
Napoli, come ogni grande città, vive la difficoltà nel fremito della sua vita sociale, nella condivisione che rimandano per certi aspetti alla teatralità della comunicazione, ad una umanità che si tocca.
Questa condizione antropologica non riesce ad essere rappresentata dalle ideologie, perché l’umanità sopravvive in queste forme di conservazione.
C’è una frase di Luciano De Crescenzo spesso ricordata: “A quanti vogliono sapere se io sono di centro destra o di centro sinistra, io rispondo che sono del centro storico.“ Sembra una battuta ma nasconde appunto questa verità.
Le ideologie non hanno mai conquistato Napoli, in virtù di questa capacità di sopravvivere, una forma di saggezza e di stare al mondo. Dentro l’intimità di questa ragazza, ci sono i nervi di Napoli, il suo lato in ombra, fatto di dolcezza, che diventa istinto, conservazione, azione vera. Come lo fu la cacciata dei nazisti da Napoli senza nessun aiuto da parte dei partigiani, o dei partiti costituiti sebbene segreti e presenti.
Queste immagini ricordano le opere del grandissimo scultore napoletano Vincenzo Gemito. Amato da De Chirico e definito da Manzù : il più grande scultore italiano dell’800. Passò la sua vita a rappresentare gli sguardi degli scugnizzi, delle zingare o delle popolane. Quei visi immortalati, pensosi, a volte ridenti, ma così carichi del mistero di umanità e della sua convivenza.




Si narra che questa canzone Pino Daniele l’abbia scritta a Carimate in provincia di Como. Scritta di istinto per realizzare l’ultima traccia per completare l’album. Forse lui si ricordava di questa ragazza ma si ispirava a Napoli. Attraverso questa ragazza Pino Daniele racconta magnificamente un lato della città.