SMORZ E’ LLIGHT  di  Renzo Arbore, una felice sintesi della cultura partenopea

C’è un brano che rappresenta lo stile del più grande incursore ed innovatore della radio e della televisione italiana: Renzo Arbore, considerato da tutti  il primo disc jokey italiano.

Dopo la laurea in giurisprudenza, che gli offrì la possibilità di conoscere Napoli e rimanerne ammaliato, vinse un concorso in Rai e diventò “Maestro programmatore di musica leggera”
Erano tempi in cui la RAI era caposaldo della cultura italiana. Come ha raccontato Vaime, al concorso a cui partecipò, si trovò nella commissione esaminatrice: Ungaretti, Moravia, Pasolini e Patroni Griffi.  Altri tempi.

Grazie ai suoi programmi radiofonici realizzati e condotti con Boncompagni, arrivarono per la prima volta in Italia i Beatles, non ritenuti idonei all’epoca dai dirigenti RAI : i Rolling Stones, i Beach Boys, Bob Dylan e tanti altri.

Arbore è stato protagonista per anni della diffusione della musica leggera, pop e rock internazionale e delle nuove tendenze in Italia, immettendo nelle conduzioni sempre le sue qualità di improvvisatore e uomo di palcoscenico.

Questo brano “Smorz e llight” è una cover musicale di un classico della musica americana “Such a Night” ed è stato cantato anche da Elvis Presley. Lui lo porta ad un ritmo più lento e delicato, sornione, un po’ blues ed un po’ swing e ne modifica il testo.

Arbore unisce le sue due più grandi passioni musicali: il jazz (è presidente del Festival Jazz più importante in Italia: Umbra Jazz ) e  la canzone napoletana, che ha rivitalizzato con la sua Band negli ultimi anni. Ma entra in scena anche lo show-man, il musicista raffinato e colto, il bravo clarinettista

Usa il dialetto napoletano, ricco delle sue sonorità ironiche, che richiamano Carosone, ma sotto certi aspetti lo stile bonario e filosofico di Luciano De Crescenzo, la veridicità degli Squallor, la leggerezza di Massimo Troisi, capaci di superare ogni cliché. Tutti anche suoi grandi amici. 

Usa il dialetto napoletano, ricco delle sue sonorità ironiche, che richiamano Carosone, ma sotto certi aspetti lo stile bonario e filosofico di Luciano De Crescenzo, la veridicità degli Squallor, la leggerezza di Massimo Troisi, capaci di superare ogni cliché. Tutti anche suoi grandi amici. 

Il brano rivisitato parla di un incontro galante che va a finire male per un incidente di percorso.
Ne esce un’autoironia dolce e personale, figlio di quella umanità che non si arrende, ma si solleva sempre, che con la sua incontenibile leggerezza va oltre, perché pregno di una umanità altissima e delicata.

In questo brano Arbore ci insegna ad andare oltre, a ridere di sé stessi con eleganza. La canzone trasuda ottimismo, ma non un ottimismo vincente, bensì un ottimismo che pregno della bellezza della vita, supera ogni cosa. Che sa osservare le cose piccole e luminose e con le quali si sopravvive a tutto. Che ha l’altezza di parlare di tutto e scopre la solitudine di ognuno. Scopre l’amore che è delicatezza.

Arbore ci insegna che non c’è niente di più erotico della risata e dell’ironia, della grazia. Questo brano che non vuole essere sexy diventa la scuola ufficiale di fascino per ognuno.

Il brano ci lascia con il soliloquio finale, surreale, cubista di Gege’ Telesforo.
Cubista come tutto brano, come lo stile artistico di Renzo Arbore, che non teme il paradosso, la vita che talvolta può essere meravigliosamente surreale, sfocata, imprecisa, ma che ci mostra dimensioni inattese, punti di vista inaspettati. Arbore risolve pronunciando a metà del brano, divertendoci in quel : “Ma…!”  : un po’ meravigliato, un po’ interlocutorio.
L’autoironia è la resa in una risata, una scoperta. Ci salva dalla solitudine delle nostre imperfezioni e giungere al paradigma più assolutorio : ridere di sé stessi.
Il cubismo ci piace, ci assolve perché non vuole darci un senso univoco alla realtà, ma mostrarci il suo mistero.